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    Speciale: in quel di Sandevoerde (Assetto Corsa mod)

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    Il grande Sergio Loro ci ha sempre viziati con mod di alto livello e questa non è da meno, tanto da meritarsi uno speciale tutto per sé. Si tratta di Zandvoort in versione anni ‘60, un circuito per uomini coraggiosi e per auto spericolate. Nell’articolo che segue, sarete catapultati indietro nel tempo e scoprirete pregi e difetti di questa interessantissima mod per Assetto Corsa.

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    Siamo nel 1967 e da anni, ormai, l’Autodromo di Zandvoort è conosciuto come uno dei più tosti e impegnativi tracciati d’Europa. Viene sfruttato principalmente per le gare di F1 e F3, dove piloti esperti e aspiranti campioni lottano strenuamente per una vittoria, per un posto d’onore nella storia del motor sport. Come molti altri circuiti dell’epoca, quello olandese è caratterizzato da saliscendi, scollinate improvvise, un susseguirsi estenuante di curve cieche, il tutto circondato, nel vero senso della parola, da erba, sabbia e muretti. Non tutti sanno, però, che la cittadina di Zandvoort, che ospita ancora oggi l’omonimo circuito, nel lontanissimo 1100 era denominata Sandevoerde, da “Sand” cioè sabbia, e “Voerde” cioè verde, per il semplice fatto di trovarsi a ridosso del mare ma circondata da prati e boschi. Questo è il motivo del titolo dell’articolo ma soprattutto del nome dato da Sergio Loro alla sua ultima opera. Chiusa questa piccola parentesi esplicativa, è tempo di addentrarci nel bel mezzo dell’avventura e salire a bordo di qualche bolide dell’epoca per conoscere più da vicino l’antica Zandvoort. E quale miglior vettura della mitica, prorompente Ferrari 312 F1 del ’67, per solcare l’asfalto imperfetto e sporco della pista olandese.

    Ai box, all’interno del minuscolo abitacolo rosso, già si respira quell’aria di passione ma anche di sfida, quell’atmosfera frizzante e genuina che solo i circuiti storici sono in grado di trasmettere. Soffermiamoci un attimo qui, nei pressi del garage, e guardiamoci intorno: dall’altra parte del rettilineo ci sono le tribune, non affollatissime ma stranamente belle da vedere per l'epoca in cui siamo; vicino a noi, invece, i box, quasi miseri se pensiamo allo sfarzo dei corrispettivi moderni ma allo stesso tempo pieni di energia e appunto, quella passione, che nonostante siano vuoti, riescono a far trasparire. A separarli dalla pista vera e propria c’è un misero muretto, alto non più di un metro e mezzo, in cemento, forse in grado di contenere un impatto, ma non di certo la voglia di un pilota di scendere in pista. Ecco che allora il motore della Ferrari si accende, tentenna un attimo e poi borbotta, impaziente come il sottoscritto di correre, impazzita, su questo circuito che la riporta esattamente dov’era cinquant’anni or sono. Qualche sgasata più tardi, giusto per fare le rispettive conoscenze, sono pronto per scoprire più da vicino cosa significhi correre a Zandvoort... la vera, originale Zandvoort.

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    Prima, seconda e anche terza ma ancora subito seconda, perché dall’uscita dei box alla prima curva c’è tempo solo per un breve allungo, poi si frena e si va a destra. Qui, nei primissimi metri, le differenze rispetto alla versione odierna sono poche, quasi tutte da ricercarsi nell’ambiente che circonda la pista, perché per il resto le prime curve sono identiche. Il famoso e traballante sinistra-destra-sinistra che segue fa da incipit a quello che è uno dei più esaltanti circuiti dell’epoca e la 312 ne è protagonista d’eccellenza, perché con i suoi quasi 400cv è difficile da domare. Basta un colpo troppo deciso sull’acceleratore per finire in testacoda; basta un centimetro di troppo sugli altissimi cordoli del circuito per essere sbalzati via e dover controsterzare all’impazzata per salvare la situazione. In questo, Sandevoerde non mente, non fa sconti, è perfetta: ogni dosso si sente, non è un macigno ma un ostacolo da superare con fermezza e convinzione; ogni cordolo è lì per essere sfiorato appena, per essere baciato dalle ruote anteriori della monoposto che così mantiene la traiettoria migliore. Sandevoerde fin dalle primissime battute non perdona gli errori, al contrario, uno sbaglio si concretizza in un’uscita sull’erba incolta (per altro rappresentata egregiamente) e poi contro le barriere, poste vicine al tracciato. È come dovrebbe essere, una sfida, e lo si capisce fin dal primo settore. Superata di traverso, con continue parzializzazioni, la Hugenholtzboch, ci si butta verso la seconda tremenda esse in salita, che va verso la parte “vecchia”. Qui, a differenza della versione moderna, il saliscendi è meno marcato e non si va in discesa dopo lo scollinamento ma si continua a salire leggermente; difficile percorrere questo breve tratto in pieno, giacché l’asfalto è alquanto imperfetto, si sobbalza in continuazione e mentre a destra c’è un fossato, a sinistra troviamo una collinetta. È quindi fondamentale rimanere concentrati e andare leggeri sul gas, sfiorando l’erba da entrambe le parti, prima, e il basso ma ostico muretto sulla destra, poi. Questo è uno dei punti cruciali della pista: se si riesce a imboccare la curva con decisione e precisione, facendo il filo al muro, si porta fuori molta velocità e si mette addirittura la quinta... ma ci vuole fegato. Il pregio di questa pista è di farti sentire attraverso il volante ogni buca e dosso che passa sotto le ruote della vettura e con la Ferrari 312, che è nervosa di suo, lo sappiamo, su questa montagna russa che è Zandvoort, si percepisce ancor di più quel suo essere scorbutica, ma allo stesso tempo elettrizzante. Successivamente a questo tratto ci si avvicina alla parte antica ma poco prima di addentrarcisi bisogna superare con caparbietà due delle curve più ingannevoli del circuito: la Scheivlak e la Hondenvlak. La prima è una curva tondeggiante e lunga verso destra, che in uscita chiude verso l’interno ed è difficile per due motivi principalmente: la velocità con cui si arriva è alta, e la sua conformazione, tondeggiante appunto, fa credere di poterla percorrere più velocemente di quello che in realtà si deve fare. Giungendo alla curva a oltre 240 km/h si è convinti di poter frenare poco e lasciare il pedale prima dell’apice, ma questo è un errore perché la curva si chiude leggermente e così facendo, è inevitabile arrivare lunghi, con la ruota posteriore sinistra che in accelerazione assaggia lo sporco che c’è fuori pista. Allora si deve scalare marcia, mettere in seconda, dare una sgasata e ripartire arrembanti, verso la seconda delle “vlak”, quella a sinistra, più veloce ma sempre ingannevole. Perché? Beh, semplicemente perché si acquisisce di nuovo velocità, per terra non ci sono segni che suggeriscono la traiettoria ideale e quindi si è propensi a credere di poterla affrontare in pieno stando spostati verso sinistra. Questo tuttavia è un grosso errore e lo si paga finendo nell’erba mista a sabbia, del dirupo opposto alla curva. Vi ricordate quando poco fa dicevo che Sandevoerde non perdona? Ecco, questo è un piccolo ma sostanziale esempio.

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    Quello che segue è, invece, il settore più entusiasmante e veloce del circuito, caratterizzato da tre curve verso destra da percorrere in pieno o quasi, seguite da una leggera sterzata a sinistra che porta poi all’ingresso dell’ultima fatica. Queste curve sono immerse nel verde, con gli alberi che ci circondano da ambo i lati e a proteggerci dalla disfatta non c’è nulla, ma solo fili d’erba e sabbia. Per percorrere al meglio possibile questa sezione si deve prestare attenzione alla traiettoria; è fondamentale arrivare a pochi centimetri dal bordo pista e sfruttare ogni millimetro di asfalto. Non sono permessi errori, non sono permesse esitazioni. Col volante della 312 ben saldo fra le mani si sterza a destra, poi ancora a destra, lo si riporta dritto per una frazione di secondo poi di nuovo ci si getta a destra con veemenza. In questi istanti l’auto saltella di qua e di là, vorrebbe quasi prendere il controllo di se stessa e finire nel mare oltre la collina, tanto ondulata è la pista; ma controsterzando un po’, giocando con l’acceleratore, stringendo con le mani il volante, si vince questa sfida e si ricevono incredibili emozioni. Sì, emozioni che solo un circuito estenuante come Zandvoort sa regalare e che restano impresse nella mente di chi le vive sulla pelle... e che fanno ricordare, nei giri successivi, a cosa si va incontro. Se però pensate che sia finita, qui vi sbagliate di grosso. Pulleveld, la semi-curva a sinistra, altro non è che la soglia di un baratro: immaginatevi di essere in pieno, col pedale premuto fino in fondo per più di due secondi (forse per la prima volta in tutto il giro). Immaginate una piccola ma interminabile salita, non dritta ma storta verso sinistra e poi dopo, all’improvviso, una discesa non troppo ripida verso destra. Tutto il peso dell’auto cede alla forza centrifuga e spinge la 312 verso l’esterno ma per fortuna non c’è banking a sfavore e quindi si vince il sottosterzo con un mix di adrenalina, istinto di sopravvivenza e quel pizzico di fortuna che non guasta mai. Il brutto di questa Bos Uit (così si chiama), è che arriva all’improvviso, non la vedi e non te la aspetti per niente: ti coglie alla sprovvista e ti prende in giro perché quando pensi di esserti salvato continua ad andare verso destra e allora devi lasciare di nuovo l’acceleratore e reindirizzare la macchina verso la traiettoria più corretta. Ciò che emoziona di più, però, è la grande velocità con cui si giunge allo scollinamento: la prima volta ci si casca e si viene in sostanza bullizzati, ma la seconda e terza e così via, si frena in anticipo sul dosso e si percorre con sorprendente scioltezza. Certo, se si vuole cercare il limite, bisogna remare con il volante, lasciar andare a spasso un poco il retro della Ferrari, ma la realtà è che dopo il primo “tuffo” la Bos Uit non fa più così paura e impressione... emoziona “soltanto”.

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    Una volta oltrepassata questa curva, ci s’immette sul rettilineo: terza, quarta, quinta entrano prepotentemente una dopo l’altra, la lancetta del tachimetro si avvicina pericolosamente ai 300 km/h ma non si fa in tempo a provare quell’ebbrezza che si deve affondare il piede sul freno, prima aggressivamente poi con gentilezza, onde bloccare le ruote. E così si ricomincia tutto da capo, questa volta però con un briciolo di sicurezza in più, quel che basta per osare dove si può e rallentare dove si deve. Giro dopo giro dopo giro, Sandevoerde inizia a non avere più segreti, ma non smette mai di emozionare. È una giostra antica che grazie alle doti di un ottimo modder è ancora funzionante e in grado di regalare emozioni a non finire... letteralmente. Dovendo essere pignolo l’unico appunto sta nel fatto che la sabbia che ricopre di tanto in tanto la pista non ha effetti sulla guida ma è solo puro elemento visivo(ben fatto tra l’altro). Tuttavia sono convinto che questo circuito debba essere vissuto come lo era 50-60 anni or sono, quindi è d’obbligo impostare l’asfalto su dust oppure old e sentire le gomme scivolare inesorabilmente verso l’esterno. Prendete questo fattore e mixatelo con il layout pazzesco e avrete un centrifugato di emozioni vere, genuine, di quelle che le piste Tilkiane di oggi non possono regalare... sono emozioni “di ieri”. Volendo essere ancor più pignolo ho testato la pista in una gara senza esclusione di colpi fra Ferrari 312 e Lotus 49: inutile dire che tutto è filato via liscio da un punto di vista prettamente tecnico, con la IA che si è comportata per bene senza impazzire. Sandevoerde si è però così rivelata essere anche una pista eccellente per la competizione più dura e cruda, riuscendo a divertire con i suoi spazi stretti e il suo asfalto trotterellante.

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    Grazie alla maniacalità con cui è stata realizzata questa pista, la voglia di spremere tutto il potenziale della Ferrari non viene mai a mancare, anzi, sopravviene la voglia di studiare Zandvoort in ogni minimo dettaglio e passare ore a guidare qualsiasi auto, per la verità. E questa voglia è quella che mi ha portato a scrivere quest’articolo. Ora ho/abbiamo una pista storica in più da aggiungere alla lista delle preferite su AC: è semplice sulla carta, senza curve paurose come per esempio la Füchsröre del Nordschleife ma grazie alle sue caratteristiche che vi ho descritto, riesce a colpire e soprattutto a divertire, soddisfare ed emozionare.

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    Qui il download della versione TEST gratuita, se invece vi piace e volete quella completa (dello speciale) potete fare una donazione.

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    A cura di Mauro Stefanoni

     

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